Otto anni fa, la politica di Trump, che combinava dazi contro i partner europei e un’apertura verso la Russia, non trovava il favore della maggior parte degli apparati governativi, dalla CIA al Pentagono, passando per il Congresso. Oggi, in un contesto segnato da due guerre su vasta scala ai confini dell’Occidente, la situazione è cambiata. La strategia di Trump si è rivelata utile per ridurre le numerose problematiche interne e rafforzare la coesione degli Stati Uniti, che da tempo fronteggiano le divisioni sociali, la crisi del fentanyl e l’ascesa di fenomeni come il wokeism.

Assimilazione vs Integrazione: una distinzione fondamentale

Senza entrare troppo nei dettagli, è cruciale comprendere la differenza tra Paesi che puntano ad assimilare gli immigrati e quelli che li integrano. In molti Paesi, gli immigrati vengono accolti temporaneamente, utili principalmente per il mercato del lavoro e per il miglioramento dell’economia. In contrasto, potenze imperiali come gli Stati Uniti tendono a “nazionalizzare” gli immigrati, facendoli diventare parte integrante della cultura americana, spogliandoli della loro lingua e delle loro radici culturali. Questo processo è essenziale per garantire che i cittadini, in particolare in tempo di guerra, siano fedeli agli interessi del Paese. Gli Stati Uniti lo capirono dolorosamente all’inizio del Novecento, quando il primo gruppo etnico del Paese, i tedeschi, rimase fedele a Berlino durante la Prima Guerra Mondiale, nonostante il loro numero superasse quello degli inglesi. Ciò portò a un’importante opera di “americanizzazione”, anche nei campi di concentramento, che in futuro avrebbero avuto una tragica notorietà.

Il nonno di Trump e la fuga dai campi di “rieducazione”

La storia del nonno di Donald Trump, Friedrich Trumpf, è ormai nota a livello mondiale. Molto spesso si sottolinea che fosse stato espulso dalla Germania per diserzione, suggerendo che l’attuale presidente dovrebbe comprendere le difficoltà degli immigrati, sulla base dell’esperienza di deportazione vissuta dal nonno. Tuttavia, un aspetto forse più interessante di questa storia è che Friedrich Trumpf, durante il periodo di “rieducazione” negli Stati Uniti, riuscì a fuggire fingendosi svedese. Il suo tentativo di tornare in Germania non ebbe successo, a conferma che, pur essendo negli Stati Uniti, non si sentiva parte di quel Paese. Questa vicenda esemplifica il difficile processo di adattamento per molti immigrati che arrivarono in America in quel periodo, come i milioni di europei che sognavano una vita migliore ma che non si sentivano “americani”.

Conclusioni: l’adattamento degli immigrati e le sfide contemporanee

Il punto cruciale della storia degli Stati Uniti è che, nel corso dei decenni, sono riusciti a “americanizzare” le seconde generazioni di immigrati, trasformandole in un motore fondamentale della crescita della superpotenza globale. Tuttavia, questo processo sembra meno efficace quando si parla di immigrati provenienti dal Messico, il che solleva interrogativi sulla reale riuscita di tale modello di assimilazione per tutte le etnie.

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Author: ZakStorm